Ormai mi conosco e so che ogni singolo neurone del mio cervellino lavora affinchè io non sia mai serena.
La mia indole pessimista e sega-mentalide (bella come nuova parola!) mi porta sempre a far pensieri poco positivi ogni qualvolta inizio a star bene, abitudine che ho da quando ero ancora giovincella e che mi è stata rinforzata dalle piccole sfighe quotidiane, tra le quali una mamma iper-apprensiva/pessimista che sgrida me perchè vedo tutto nero quando lei fa molto peggio.
Comunque... Oggi mi sono messa a pensare che, pur avendo nostalgia di casa ed esser contenta di rimanerci per un pò, vorrei anche essere lassù, nella mia casina da fuori-sede. Gli ultimi giorni che sono stata sù abbiamo sperimentato un buon affiatamento, e ora mi mancano le battute, le punzecchiature divertite, le risate, la sofferenza collettiva per una quasi mancata laureata e il sollievo per quando tutto si è risolto per il meglio. Mi dispiace dirlo ma senza la presenza di qualcuno si sta proprio bene in quella casa, una di sicuro (e su questo concordiamo tutte), l'altra è una presenza un pò ambigua (e non solo sessualmente parlando), non è antipatica, anzi, però boh... La dobbiamo ancora imparare a conoscere e in me, come al solito, la diffidenza regna sovrana. Non solo in me per la verità!
Beh, questa "nostalgia canaglia" mi ha portato a pensare che, visto che il tempo è un pò relativo, ormai manca poco alla fine della mia avventura da fuori sede. Diciamo un annetto. E mi dispiace non poco perchè, se uno non conta le incazzature, è un'esperienza bella e sicuramente utile a crescere.
Un pò come un romanzo di formazione, dove il protagonista inizia come ragazzino sprovveduto e, dopo mille peripezie, arriva in fondo al romanzo maturato e più sicuro di sè. Un uomo, insomma. Così all'università: arrivi che non sai distinguere un modulo d'iscrizione dalla carta igienica (ovviamente non per tutti, ma per la maggioranza è così), e ne esci che hai fatto file su file, litigato per telefono con quello del gas, hai quasi menato la segretaria dell'università (ehm, sì, può capitare anche questo... ma ero molto molto arrabbiata!), hai imparato a gestire i rapporti con le coinquiline, anche le più assurde, e fai pace con la lavatrice (o quasi) e chissà quant'altro. E il brutto è che un'esperienza del genere non è paragonabile ad altre e, una volta conclusa, non ti ricapita più.
Quindi, a conti fatti, nonostante a volte una vocina dentro di me invocasse un monolocale, sono contenta di essere una fuori-sede!
La mia indole pessimista e sega-mentalide (bella come nuova parola!) mi porta sempre a far pensieri poco positivi ogni qualvolta inizio a star bene, abitudine che ho da quando ero ancora giovincella e che mi è stata rinforzata dalle piccole sfighe quotidiane, tra le quali una mamma iper-apprensiva/pessimista che sgrida me perchè vedo tutto nero quando lei fa molto peggio.
Comunque... Oggi mi sono messa a pensare che, pur avendo nostalgia di casa ed esser contenta di rimanerci per un pò, vorrei anche essere lassù, nella mia casina da fuori-sede. Gli ultimi giorni che sono stata sù abbiamo sperimentato un buon affiatamento, e ora mi mancano le battute, le punzecchiature divertite, le risate, la sofferenza collettiva per una quasi mancata laureata e il sollievo per quando tutto si è risolto per il meglio. Mi dispiace dirlo ma senza la presenza di qualcuno si sta proprio bene in quella casa, una di sicuro (e su questo concordiamo tutte), l'altra è una presenza un pò ambigua (e non solo sessualmente parlando), non è antipatica, anzi, però boh... La dobbiamo ancora imparare a conoscere e in me, come al solito, la diffidenza regna sovrana. Non solo in me per la verità!
Beh, questa "nostalgia canaglia" mi ha portato a pensare che, visto che il tempo è un pò relativo, ormai manca poco alla fine della mia avventura da fuori sede. Diciamo un annetto. E mi dispiace non poco perchè, se uno non conta le incazzature, è un'esperienza bella e sicuramente utile a crescere.
Un pò come un romanzo di formazione, dove il protagonista inizia come ragazzino sprovveduto e, dopo mille peripezie, arriva in fondo al romanzo maturato e più sicuro di sè. Un uomo, insomma. Così all'università: arrivi che non sai distinguere un modulo d'iscrizione dalla carta igienica (ovviamente non per tutti, ma per la maggioranza è così), e ne esci che hai fatto file su file, litigato per telefono con quello del gas, hai quasi menato la segretaria dell'università (ehm, sì, può capitare anche questo... ma ero molto molto arrabbiata!), hai imparato a gestire i rapporti con le coinquiline, anche le più assurde, e fai pace con la lavatrice (o quasi) e chissà quant'altro. E il brutto è che un'esperienza del genere non è paragonabile ad altre e, una volta conclusa, non ti ricapita più.
Quindi, a conti fatti, nonostante a volte una vocina dentro di me invocasse un monolocale, sono contenta di essere una fuori-sede!
Credo che la porterai sempre dentro di te come una bella esperienza. Col tempo nella nostra memoria i momenti storti sfumano e resta soltanto quella (quasi) piacevole nostalgia che ti ricorda soprattutto i momenti sereni. Situazioni così aiutano a crescere e a capirsi meglio. E, anche se a momenti possono essere davvero difficili, vale la pena di viverle fino in fondo.
RispondiEliminaIl bicchiere può sembrare mezzo pieno o mezzo vuoto ed anche ogni esperienza può apparire bella per certi aspetti e terribile per altri, l'importante è che ogni situazione nel bene o nel male ti arricchisce. Sicuramente finita questa parte del cammino imboccherai una nuova strada ma non lascerai dietro di te i ricordi belli e brutti, queste esperienze ti saranno sicuaramente utili per affrontare la nuova strada.
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