Passa ai contenuti principali

Precario il mondo

Sono parecchi giorni che canticchio fra me e me una canzone che potrebbe stare benissimo fra gli scaffali virtuali della precarioteca. Però non è di Daniele Silvestri e mi pare brutto non iniziare dal mio cantante preferito. Sia mai che si offende. Quindi...

Silvestri ha questa duplice natura, fra lo scanzonato e l'impegno sociale. E in "Precario il mondo" tutto questo si coniuga alla perfezione.

La trama. Questa canzone tratta il sempre attuale tema dell'emigrazione all'estero alla ricerca di un lavoro e un futuro migliori. C'è chi non ne può più e riconosce la gravità del sistema lavorativo italiano. Chi è precario, sottopagato e quant'altro non può che non riconoscersi in colui che canta Tanto il mio lavoro è inutile, diciamo futile essenzialmente rimovibile sostituibile, regolarmente ricattabile. Perché si sa quanto sia facile perdere un lavoro solo se si prova ad alzare la testa, tanto fuori c'è la fila e in un attimo puoi essere sostituito. Ma in molti non vogliono o non riescono a mollare tutto e a partire. Silvestri li descrive inizialmente come chi non ha capito che non c'è più nulla di salvabile, chi sta a testa bassa e tira avanti. Però poi si spiega meglio: tu riesci ancora a non vedere solo il lato brutto. Io invece ho smesso devo andare, grazie di tutto.

Perché ascoltarla. La canzone la trovate nell'album S.C.O.T.C.H. (2011), che merita senz'altro un ascolto. Ma io sono di parte, si sa. Nello specifico "Precario il mondo" è da ascoltare per lo stridente contrasto fra il ritmo orecchiabile e leggero e il testo impegnato. Mentre la musica ci fa tenere il tempo con  piede, le parole prive di speranza sono un pugno allo stomaco.

Piccola riflessione personale. Io sono di quelle che stringe i denti dentro a un ufficio, almeno metaforicamente. Non ho mai pensato di andare all'estero a cercar fortuna. Mi era bastato cambiare regione, poi sono tornata nella mia per motivazioni ormai vecchie e sepolte ma anche dopo non ho avuto le energie, la voglia, il coraggio di riprendere le valigie e rifarmi di nuovo da capo. O forse sono più attaccata alla mia terra di quanto immagino. Fra l'altro andare all'estero non è tutto rose e fiori, in molti tornano delusi, e questo Eldorado che ci promettono non credo sia poi così realistico. Con questo ammiro il loro coraggio e la voglia di rivalsa. Anche se, forse, ci vuole più coraggio a restare. 

La frase. Qualcuno grida è una protesta che nessuno sente. Non c'è un futuro da difendere solo il presente. E anche di quello di salvabile c'è poco o niente. 



Commenti

  1. Cara Icaro, sai tanti ne parlano senza sapere che cosa sia l'estero per lavorare!!!
    Questo te lo dice che è emigrato da oltre 63 anni!!!
    Ciao e buona settimana con un abbraccio e un sorriso:-)
    Tomaso

    RispondiElimina
  2. Comunque questa situazione è patologica, non è pensabile continuare in questo modo, non è questione del coraggio di chi resta, ma della mancanza di lungimiranza di chi governa.

    RispondiElimina
  3. La vedo come te sull'estero. Spesso più una fuga che una reale speranza.
    Comunque, vero che siamo tutti sostituibili, l'importante è rendersi indispensabili, anche se non sempre serve. Ma allora, in quel caso, ci si deve portare all'inferno più gente possibile, o lasciare -con un colpo di coda- più danni possibili ;)

    Moz-

    RispondiElimina
  4. Forse il coraggio sta nel come si decide di affrontare le cose, ovunque si decida di andare o restare.

    Io credo che noi nel nostro piccolo lo siamo...

    RispondiElimina

Posta un commento

Post popolari in questo blog

Meglio che niente faccio l'insegnante.

C'è stato un tempo in cui volevo fare la maestra. Secondo me è in fase da cui un po' tutte passiamo (passavamo, adesso vogliono fare l'estetista e il tatuatore, e lo dico perché mi è successo di leggerlo nei temi). Come la fase del "da grande voglio fare il veterinario". Poi la fase ci passa e io ne sono stata ben lieta perché mi sono resa conto che non avrei la pazienza necessaria. Quando facevo l'educatrice nei doposcuola il lavoro mi piaceva ma c'erano alcuni ragazzetti che me le avrebbero tolte dalle mani e in una classe vera, per più ore al giorno, sarei stata veramente in difficoltà. Tutto questo preambolo per dire che nella mia mente l'insegnante è ancora una professione per cui serve una sorta di vocazione. Un qualcosa di più anche dell'esserci portati. A maggior ragione oggi giorno che queste generazioni di bambini è ragazzi sono sempre più complesse da gestire (perché tale è diventata la società, in fin dei conti). Ecco, pare che sia

Vorrei un gesso e un whisky liscio

A voi capita mai che, in certi momenti particolari, vi succeda qualcosa che vi riporta a una particolare canzone, o addirittura ad un solo suo verso? A me è venuto in mente questo:  " Quello che importa in una persona è l'immagine che dà..." In che occasione? Stamani. Quando uno dei bimbi mi ha chiesto se abitualmente bevo whisky. Devo dire che dopo lo scorso anno dove ho tenuto un profilo piuttosto basso, quest'anno mi sono data di più ai ragazzi diventandone confidente, raccogliendo battute, sfoghi, pianti, risate. E mi sono aperta alle loro curiosità (ma dove abiti? Ma come mai fai la bidella? A te che profumo piace? Veramente ti piace l'insalata di cavolo crudo?). Non mi sono mai chiesta come mi vedessero dai loro occhi. Però tutto mi pensavo fuor che essere passata da grande bevitrice!

Diversamente titolati

Premessa numero 1. Io non ho nessun tipo di pregiudizio legato al titolo di studio: conosco dei laureatissimi e pure masterizzati ignoranti come capre e persone che con un serale hanno fatto una mega carriera nella dirigenza di grosse aziende. Che, fra l'altro, mi hanno raccontato di ingegneri da 110 e lode che non sapevano da che parte rifarsi per svitare un bullone. Ognuno sa fare il suo, lo può avere imparato studiando o lavorando, e ognuno può essere un genio o un caprone, a prescindere. Ma soprattutto (premessa numero 2) io la penso così: Per capirsi, quando ho iniziato a sentirmi stretta nel posto in cui lavoravo, ho preso a cercare QUALSIASI lavoro mi desse la possibilità di non restare a casa disoccupata e mandai CV anche per fare le pulizie. Mi chiamarono con L'UNICA FINALITÀ di chiedermi se ero proprio sicura, perché "hai una laurea". Risposi che certo che ero sicura, che avevo bisogno di lavorare e che NONOSTANTE LA LAUREA ero perfettamente in grado