Avevo già scritto della brutta fine fatta da Rory Gilmore in un post di diversi mesi fa. Ma credo che la sua pessima ma edificante esperienza meriti un post(o) speciale nella nuova precarioteca. Certo, la visione è più impegnativa di un film, ma in questi giorni di pioggia infinita che altro fare?!
La trama. Le Gilmore Girls sono un'istituzione e credo che anche chi non ne ha mai visto un episodio sappia più o meno di che cosa parla. Come si deduce dalla sciagurata traduzione italiana del titolo (Una mamma per amica), la serie è incentrata sulle vite di mamma (Lorelai) e figlia (Rory) e sul loro particolare rapporto. Per quando le loro love story siano ovviamente la parte più succosa della trama, anche le loro carriere sono ben delineate coi personaggi. E mentre Lorelai si costruisce partendo da zero una carriera come direttrice e poi proprietaria di hotel, Rory è la classica prima della classe, con un obiettivo chiaro in testa: fare la giornalista. E come purtroppo la realtà ci insegna, studiare non è quasi mai la scelta giusta. Ce la ritroviamo nella settima stagione appena laureata che, dopo essere stata rifiutata dai giornali più facoltosi ai quali ambiva, parte come giornalista online sottopagata per la campagna elettorale di Obama. Ce la siamo immaginata prendere il volo negli anni successivi quando invece Amy Sherman Palladino ha voluto darci il colpo di grazia con One year in a life. Col cavolo che ha fatto carriera: torna a casa di mammà, sconsolata, delusa e disoccupata.
Perché guardarlo. A livello di trama o di "messaggio" sul tema lavoro non aggiunge nulla a quello che già sappiamo: puoi essere in gamba quanto vuoi, puoi studiare a più non posso e puoi essere pure un po' ammanigliata, ma questo non ti garantirà assolutamente un futuro roseo. Però lo fa con uno stile tutto suo e la serie è veramente carina. I dialoghi brillanti e i personaggi divertenti.
Piccola riflessione personale. Mi ha colpito un siparietto della terza puntata di One year in a life, a maggior ragione tenendo conto che comunque non è una serie italiana, dove abbiamo avuto fior fiore di ministri che ci dicevano che noi giovani senza lavoro siamo choosy e bamboccioni. Rory è invitata più volte a prendere parte alla "gang dei trentenni", un gruppetto di ragazzi disoccupati che sembrano tutto fuor che normali e le cui madri (ancora più sceme) si incontrano per rileggere i curriculum dei figli e dar loro supporto. E mi chiedo: ma in una società in cui nemmeno una Rory Gilmore riesce a trovare la sua strada lavorativa, ancora si immaginano i disoccupati come perfetti imbecilli mammoni? Ma non dovremmo andare un po' oltre a questo ormai sdoganato pregiudizio?
La trama. Le Gilmore Girls sono un'istituzione e credo che anche chi non ne ha mai visto un episodio sappia più o meno di che cosa parla. Come si deduce dalla sciagurata traduzione italiana del titolo (Una mamma per amica), la serie è incentrata sulle vite di mamma (Lorelai) e figlia (Rory) e sul loro particolare rapporto. Per quando le loro love story siano ovviamente la parte più succosa della trama, anche le loro carriere sono ben delineate coi personaggi. E mentre Lorelai si costruisce partendo da zero una carriera come direttrice e poi proprietaria di hotel, Rory è la classica prima della classe, con un obiettivo chiaro in testa: fare la giornalista. E come purtroppo la realtà ci insegna, studiare non è quasi mai la scelta giusta. Ce la ritroviamo nella settima stagione appena laureata che, dopo essere stata rifiutata dai giornali più facoltosi ai quali ambiva, parte come giornalista online sottopagata per la campagna elettorale di Obama. Ce la siamo immaginata prendere il volo negli anni successivi quando invece Amy Sherman Palladino ha voluto darci il colpo di grazia con One year in a life. Col cavolo che ha fatto carriera: torna a casa di mammà, sconsolata, delusa e disoccupata.
Perché guardarlo. A livello di trama o di "messaggio" sul tema lavoro non aggiunge nulla a quello che già sappiamo: puoi essere in gamba quanto vuoi, puoi studiare a più non posso e puoi essere pure un po' ammanigliata, ma questo non ti garantirà assolutamente un futuro roseo. Però lo fa con uno stile tutto suo e la serie è veramente carina. I dialoghi brillanti e i personaggi divertenti.
Piccola riflessione personale. Mi ha colpito un siparietto della terza puntata di One year in a life, a maggior ragione tenendo conto che comunque non è una serie italiana, dove abbiamo avuto fior fiore di ministri che ci dicevano che noi giovani senza lavoro siamo choosy e bamboccioni. Rory è invitata più volte a prendere parte alla "gang dei trentenni", un gruppetto di ragazzi disoccupati che sembrano tutto fuor che normali e le cui madri (ancora più sceme) si incontrano per rileggere i curriculum dei figli e dar loro supporto. E mi chiedo: ma in una società in cui nemmeno una Rory Gilmore riesce a trovare la sua strada lavorativa, ancora si immaginano i disoccupati come perfetti imbecilli mammoni? Ma non dovremmo andare un po' oltre a questo ormai sdoganato pregiudizio?
- La frase. "Non sono tornata" (Rory a chiunque festeggia il suo ritorno al paesello di origine, per non ammettere neanche con se stessa di aver fallito ed essere costretta a tornare all'ovile, perché minchia se è dura da ammettere!)
Non ho mai visto nemmeno una puntata... ma sulla fiducia sposo la frase "minchia se è dura da ammettere"
RispondiEliminaDiciamo che la frase è il mio riassunto dell'ultima fase della vita di Rory, da studentessa brillante a disoccupata.
Elimina