Passa ai contenuti principali

Le faremo sapere

Qualche giorno fa scherzavamo con degli amici e, tra una battuta e l'altra, è uscito un "le faremo sapere", ormai universalmente riconosciuta come tipica frase di rifiuto.


In un mondo in cui siamo sempre di più a cercare lavoro e le aziende ricevono tantissimi curriculum e fanno diverse selezioni, sembra però essere diventata la prassi il non fare sapere e il dover dedurre la risposta dal silenzio. Personalmente non ci ero mai passata e, anzi, in uno dei miei tanti lavori sono stata io l'addetta alla scrittura della mail di rito: bel curriculum, le faremo sapere se servirà. Ci tenevano, per educazione e per rispetto della persona che cercava lavoro.

Non so se sia stato il karma a questo punto. Ma ho passato delle giornate intere con gli occhi appiccicati al telefono nella speranza di una telefonata o quando meno di una mail. E se i primi giorni nutrivo speranza di aver ottenuto il lavoro, man mano la speranza si è affievolita. Lasciando il posto al desiderio di un no certo, senza quel silenzio in cui risuonava il giramento dei miei coglioni l'eco dei miei pensieri.


E a voi? Vi hanno mai detto "le faremo sapere" senza farvi sapere un bel nulla?

Commenti

  1. A me una volta hanno detto "le faremo sapere in ogni caso"
    e io: "grazie!"
    lei: "non ci ringrazi signorina: è il minimo dell'educazione per ringraziare chi si è dimostrato interessato alla nostra realtà blablabla!.

    sono passati una decina di anni... credo stiano ancora facendo le selezioni perché a me non è mai arrivata nessuna mail

    RispondiElimina
  2. Hai voglia!
    Parecchie volte.
    Credo che solo una persona abbia avuto la decenza di rispondermi che non aveva bisogno di me.

    RispondiElimina
  3. Se dici che é il karma, io soffriró molto visto che per un anno mi sono occupata dei rapporti col personale in un'azienda e quindi dei licenziamenti..
    Comunque non credo di aver mai ricevuto una mail in cui mi dicevano che non erano interessati a me.
    Quindi, visto che non ho duemila lavori, credo che il silenzio sia l'unica risposta..

    RispondiElimina
  4. Io ho iniziato a lavorare quasi subito dopo la laurea, ero precaria, praticamente non ho avuto mai un colloquio nonostante i curriculum inviati.

    RispondiElimina

Posta un commento

Post popolari in questo blog

Vorrei un gesso e un whisky liscio

A voi capita mai che, in certi momenti particolari, vi succeda qualcosa che vi riporta a una particolare canzone, o addirittura ad un solo suo verso? A me è venuto in mente questo:  " Quello che importa in una persona è l'immagine che dà..." In che occasione? Stamani. Quando uno dei bimbi mi ha chiesto se abitualmente bevo whisky. Devo dire che dopo lo scorso anno dove ho tenuto un profilo piuttosto basso, quest'anno mi sono data di più ai ragazzi diventandone confidente, raccogliendo battute, sfoghi, pianti, risate. E mi sono aperta alle loro curiosità (ma dove abiti? Ma come mai fai la bidella? A te che profumo piace? Veramente ti piace l'insalata di cavolo crudo?). Non mi sono mai chiesta come mi vedessero dai loro occhi. Però tutto mi pensavo fuor che essere passata da grande bevitrice!

Meglio che niente faccio l'insegnante.

C'è stato un tempo in cui volevo fare la maestra. Secondo me è in fase da cui un po' tutte passiamo (passavamo, adesso vogliono fare l'estetista e il tatuatore, e lo dico perché mi è successo di leggerlo nei temi). Come la fase del "da grande voglio fare il veterinario". Poi la fase ci passa e io ne sono stata ben lieta perché mi sono resa conto che non avrei la pazienza necessaria. Quando facevo l'educatrice nei doposcuola il lavoro mi piaceva ma c'erano alcuni ragazzetti che me le avrebbero tolte dalle mani e in una classe vera, per più ore al giorno, sarei stata veramente in difficoltà. Tutto questo preambolo per dire che nella mia mente l'insegnante è ancora una professione per cui serve una sorta di vocazione. Un qualcosa di più anche dell'esserci portati. A maggior ragione oggi giorno che queste generazioni di bambini è ragazzi sono sempre più complesse da gestire (perché tale è diventata la società, in fin dei conti). Ecco, pare che sia

Il cuore dei luoghi abbandonati

Anche se ne ho visitato un numero irrisorio posso affermare con certezza che i luoghi abbandonati portano sempre su di sé i segni delle vite che vi sono passate. Sembra strano ma la storia di un luogo è raccontata anche da cosa è rimasto, e come è rimasto, dopo l'abbandono. Ed è questo secondo me che li rende tanto affascinanti.  Probabilmente in molti sono attratti dal loro lato dark e misterioso, io invece sono interessata alle vite passate di lì. Nonostante sia quello che mi ha portato a scegliere certi studi che mi hanno condannata ad essere diversamente occupata, non sono ancora riuscita a sedare il mio desiderio di osservare da vicino l'esistenza delle persone.  Io non ho avuto la possibilità di visitare il cimitero di San Finocchi, quello del manicomio di Volterra. Però ho letto che sono croci tutte uguali, senza un nome, senza una foto. Anonimi in vita per le loro malattie mentali, anonimi anche dopo la morte. Invece sono stata in un cimitero di un borgo disabitat